Intervista al TGR
Antologia personale di poesie |
GIACOMO LEOPARDI, Ad Arimane * Re delle cose, autor del mondo, arcana Malvagità, sommo potere e somma Intelligenza, eterno Dator dei mali e reggitor del moto, Io no so se questo ti faccia felice, ma mira e godi contemplando eternam. Natura È come un bambino che disfa subito il fatto. Vecchiezza. Noia o passioni piene di dolore e Di disperazioni : amore. Te con diversi nomi il volgo appella Fato, natura e Dio. Ma tu sei Arimane. Taccio le tempeste, le pesti, tuoi doni che altro non sai donare. Tu dai gli ardori e i ghiacci. E il mondo delira cercando nuovi ordini e leggi e spera perfezione. Ma l’opra tua rimane immutabile, perché per natura dell’uomo sempre Regneranno l’ardimento e l’inganno, e la sincerità e la modestia resteranno indietro, e la fortuna sarà nemica al valore, e il merito non sarà buono a farsi largo, e il giusto e il debole sarà oppresso. Vivi, Arimane e trionfi, e sempre trionferai. Perché Dio del male, hai tu posto nella vita qualche apparenza di piacere? L’ amore ? Per travagliarci col desiderio, col confronto degli altri, e del tempo nostro passato? Io non so se tu ami le lodi o le bestemmie. Tua lode sarà il pianto, testimonio del nostro patire. Pianto da me certo Tu non avrai : ben mille volta dal mio labbro Il tuo nome maledetto sarà. Ma io non mi rassegnerò. Se mai grazia fu chiesta ad Arimane concedimi che io non passi il 7° lustro. Io sono stato, vivendo, il tuo maggior predicatore, l’apostolo della tua religione. Ricompensami. Non ti chiedo nessuno di quelli che il mondo chiama beni: ti chiedo quello che nel mondo È creduto il massimo de’ mali, la morte. Non posso, non posso più della vita.
( trascrizione della versione di Carmelo Bene su you-tube)
*Arimane era, nel dualismo di Zoroastro, la divinità persiana delle tenebre
Mandelstham Nelle notti ululando a testa nuda ho imparato la scienza degli addii
Giovanni Pascoli NEBBIA. E guardai nella valle : era sparito Tutto! Sommerso! Era un gran mare piano, grigio, senz’onde, senza lidi, unito.
E c’era appena, qua e là, lo strano vocio di gridi piccoli e selvaggi: uccelli spersi per quel mondo vano.
E alto, in cielo, scheletri di faggi, come sospesi, e sogni di rovine e di silenziosi eremitaggi.
E un cane uggiolava senza fine …
GUILLAUME APOLLINAIRE, LE SIRENE So io la vostra pena da che viene quando al largo, di notte, Sirene, vi lamentate? Mare, io sono come te, pieno di voci fatturate; e i miei vascelli che cantando vanno, gli anni nome hanno. Alexandr Blok Come è penoso andare tra la gente fingendo di non essere defunto E raccontare a chi non ha vissuto il gioco falso e tragico del male; e contemplando l’incubo notturno scoprire un’armonia nel discordante mulinio dell’essere, chè solo nei riflessi dell’ arte l’uomo vede l’incendio senza scampo della vita.
HOLDERLIN, CANTO DEL DESTINO DI IPERIONE Voi andate laggiù nella luce Su molle suolo, beati genii! Splendenti brezze di dei Vi sfiorano lievi Come dita ispirate Le sacre corde Senza destino, come lattante Che dorma, respirano i celesti Serbato casto In umile gemma E’ in eterno fiorire Per loro lo spirito e gli occhi beati Brillano in tacita Eterna chiarità.
Ma a noi non è dato In luogo nessuno posare, dileguano, cadono soffrendo gli uomini alla cieca, da una ora nell’altra, come acqua da scoglio a scoglio gettata per anni nell’ abisso dell’incertezza ( musicata da Brahms )
BRETON Il vento lucido mi porta il profumo perduto dell’esistenza SALVATORE QUASIMODO Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera
W.H.AUDEN Felice la lepre al mattino Perché non sa leggere I pensieri del cacciatore Al risveglio. Felice la foglia Incapace di predire la caduta. Felici invero le sparse alghe gelatinose Soffocanti che fioriscono negli stagni Lambiscono le sabbie del deserto Ma cosa farà l’uomo Il quale sa fischiettare melodie a memoria Conosce la battuta esatta A cui la morte lo fermerà netto Come il grido del gabbiano Che cosa può fare Se non difendere se stesso dalla conoscenza ?
JAIME TORRE BODET, UN UOMO MUORE DENTRO DI ME Un uomo muore dentro di me tutte le volte che un uomo muore da qualche altra parte, assassinato dalla paura e dall’ansia di altri uomini. Un uomo muore dentro di me ogni volta che in Asia o sulla sponda di un fiume d’ Africa o d’ America, o nei parchi di una città d’ Europa, l’arma di un uomo uccide un uomo. E la sua morte disfa tutto ciò che credevo di avere eretto in me su fondamenta eterne: la fede nei miei eroi, il mio gusto di stare in silenzio sotto i pini, l’orgoglio che io avevo di essere uomo ascoltare Platone narrare la morte di Socrate e perfino il sapore dell’acqua e perfino il chiaro piacere di riconoscere che due e due fanno quattro…. Tutto di nuovo s’interroga e pone mille domande senza risposta, nell’ora in cui l’uomo penetra – a mano armata – nella vita senza difesa di altri uomini.
VINCENZO CARDARELLI, AUTUNNO Già lo sentimmo venire nel vento d’agosto, nelle piogge di settembre torrenziali e pungenti, e un brivido percorse la terra che ora, nuda e triste accoglie un sole smarrito. Ora passa e declina, in quest’ autunno che incede con lentezza indicibile, il miglior tempo della nostra vita lungamente ci dice addio
FEDERICO GARCIA LORCA, NOTTE DELL’AMORE INSONNE Notte Alta, noi due e la luna piena; io che piangevo, mentre tu ridevi. Un dio era il tuo scherno; i miei lamenti attimi e colombe incatenate.
Notte bassa, noi due. Cristallo e pena, piangevi tu in profonde lontananze. La mia angoscia era un groppo d’agonie sopra il tuo cuore debole di sabbia.
L’alba ci ricongiunse sopra il letto, le bocche su quel gelido fluire di un sangue che dilaga senza fine.
Penetrò il sole la veranda chiusa E il corallo della vita aprì i suoi rami sopra il mio cuore nel sudario avvolto.
FEDERICO GARCIA LORCA Temo di perdere la meraviglia dei tuoi occhi di statua e la cadenza che di notte mi posa sulla guancia la rosa solitaria del respiro.
Temo di essere lungo questa riva un tronco spoglio, e quel che più mi accora è non aver fiore, polpa, argilla per il verme di questa sofferenza.
Se sei tu il mio tesoro seppellito, la mia croce e il mio fradicio dolore, se io sono il cane e tu il padrone mia
non farmi perdere ciò che ho raggiunto e guarisci le acque del tuo fiume con foglie dell’autunno mia impazzito. EUGENIO MONTALE Spesso il male di vivere ho incontrato: era il rivo strozzato che gorgoglia, era l’ incartocciarsi della foglia riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio che schiude la divina indifferenza: era la statua della sonnolenza del meriggio, e la nuvola, e il falco alto legato.
GEORG TRAKL, CANTO NOTTURNO Respiro dell’immoto. Un volto animalesco, rigido d’azzurro, la santità di lei. Potente è il silenzio nel sasso;
la maschera di un uccello notturno. Un accordo soave si spegne ad un tratto. Ahime! Il tuo volto muto si china sopra acque azzurrine.
Oh, silenziosi specchi del vero! Alla tempia eburnea del solitario appare il riflesso d’angeli neri.
VERLAINE, CANZONE D’AUTUNNO Singhiozzi lunghi Dai violini Dell’autunno Mordono il cuore Con un monotono languore. Ecco ansimando E smorto,quando Suona l’ora, io mi ricordo gli antichi giorni e piango; e me ne vado nel vento ingrato che mi porta di qua di là come fa la foglia morta.
J.SEIFERT, CONVERSAZIONE CON LA MORTE Tu, che vali più che l’oro vale, tu, che tutto hai che non torna, tu,fra le cui braccia l’uomo dimentica ogni peso del mondo, tu stessa senza peso, tu, che con crudeltà comandi di portare a ogni vivo dolore, tu stessa senza dolore, tu,che piangi sicura della preda, tu, a cui nessuno mai è pronto, tu,morte, sempiterna ballerina del vivere, tu, da cui salvezza non può trovare l’acciaio, la statua e il tempio, tu, dei morti la guida nell’ignoto, tu, senza mutazioni l’unica al mondo, ecco: questo è il corpo morto nell’affusto, prendilo,la cosa più bella offre a te questo popolo che piange in questo morto più di quanto forse poteva offrirti, tu, che tutto hai che non torna, prendilo dentro il grembo profondo dove nel buio mai l’alba trapela, che il morto giusto ora trovi riposo. Sulla sua tomba sta un popolo vivo. (1937 dopo l’annessione della Cecoslovacchia alla Germania)
J.PREVERT, LE FOGLIE MORTE Vorrei tanto che tu di ricordassi I giorni felici di quando eravamo insieme. In quel tempo la vita era più bella E il sole più ardente di oggi. Le foglie morte si ammassano sul badile Tu vedi, non ho dimenticato Le foglie morte che si ammassano sul badile, i ricordi e i rimpianti. E il vento del nord le ha portate via Nella fredda notte dell’oblio. Tu vedi non ho dimenticato La canzone che tu mi cantavi. E’ una canzone che ci assomiglia Tu mi amavi e io ti amavo. Vivevamo tutti e due insieme Tu che mi amavi ed io che ti amavo. Ma la vita separa quelli che si amano, pian piano. E il mare cancella sulla sabbia I passi degli amanti disuniti.
JOSE’ AGUSTIN GOYTISOLO, IN QUESTO STESSO ISTANTE In questo stesso istante C’è un uomo che soffre, un uomo torturato solo perché ama la libertà.
Ignoro Dove vive, che lingua Parla, di che colore Ha la pelle, come Si chiama ma In questo stesso istante, quando i tuoi occhi leggono la mia piccola poesia, quell’uomo esiste, grida, si può sentire il suo pianto di animale perseguitato mentre si morde le labbra per non denunciare i suoi amici. Lo senti? Un uomo solo Grida ammanettato, esiste In qualche posto.
Ho detto solo? Non senti, come me, il dolore del suo corpo ripetuto nel tuo? Non ti sgorga il sangue Sotto i colpi ciechi? Nessuno è solo. Adesso, in questo istante, anche te e me ci tengono ammanettati
SALVATORE QUASIMODO, ALLE FRONDE DEI SALICI E come potevamo noi cantare Con il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze sull’erba dura di ghiaccio, al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento.
PAUL VALERY, LA SELVA AMICA Noi abbiamo pensato cose pure A fianco a fianco, lungo i viali, noi ci siamo tenuti per le mani senza una parola… tra corolle oscure.
Camminavamo come fidanzati, soli, nella verde notte delle praterie; dividevamo il frutto delle fantasie, la luna amica agli insensati.
Poi siamo morti sopra il muschio, soli, remoti, e nella selva intima l’ombra ci avviluppava dolce, mormorando;
lassù, nel lume immenso, noi ci siamo trovati lacrimando, mio diletto compagno di silenzio.
GOETHE. Faust, NON HO FATTO CHE CORRERE Non ho fatto che correre, io, attraversando il mondo. Ogni piacere l’ho afferrato al volo. Non mi bastava? E se ne andasse! Non l’ottenevo? E si perdesse! Ho avuto solo desideri e solo Desideri saziati E nuove voglie; e di forza, così Ho attraversato d’impeto la vita. Alta potente Dapprima; ora va sazia, ora va attenta. La conosco abbastanza, questa terra. Sull’al di là ci è impedita la vista. Pazzo chi volge lo sguardo scrutando lassù E sopra le nuvole finge suoi simili! L’uomo si tenga saldo qui e si guardi attorno: non è muto questo mondo a chi sa e opera.
GUILLAUME APOLLINAIRE, IL CANTO D’AMORE Ecco di cos’è fatto il canto sinfonico dell’amore C’è in esso il canto dell’amore di una volta Il brusio dei baci storditi degli amanti illustri Gli strilli d’amore delle mortali violate dagli dei Le virilità dei mitici eroi drizzate come pezzi antiaerei L’urlo prezioso di Giasone Il canto mortale del cigno E l’inno vittorioso che i primi raggi del sole hanno fatto cantare a Anemone l’immortale C’è il grido delle Sabine al momento del ratto E anche vi sono i gridi d’amore dei felini nella giungla Il rumore sordo della linfa che sale nelle piante tropicali Il tuono delle artiglierie che attuano il terribile amore dei popoli Le ondate del mare dove nasce la vita e la bellezza C’è il canto di tutto l’amore del mondo
BAUDELAIRE, CIELO COPERTO Sembra quasi, il tuo sguardo,schermato da un vapore; il mistero dei tuoi occhi (azzurri, verdi,grigi?) è volta a volta tenero, o spietato, o sognante, e specchia l’indolenza e il pallore del cielo.
Bianche, tiepide, bambagiose giornate ricorsi, quando il cuore si scioglie ,stregato, in pianto, e flagellati da un male ignoto che li attorce, i nervi si fan beffe dell’anima assopita.
A volte fai pensare ai sontuosi orizzonti che i soli di brumose stagioni accendono… e risplendi come un paesaggio fradicio infiammato dai raggi che spiovono da un cielo tempestoso!
O donna-trabocchetto, o climi seducenti! Anche i tuoi geli, anche la vostra neve saprò farmi piacere, e dal crudele inverno distillare piaceri più taglienti dell’acciaio e del ghiaccio?
STEFAN GEORGE, DOPO LA VENDEMMIA Non esitare a cogliere lo sfarzo Che scompare nel cambio di stagione Nuvole grigie s’ ammassano rapide Presto la nebbia ci potrà sorprendere
Suono flautato dagli spogli rami Ti annuncia che un’estrema melodia Avvolge (prima che la geli il vento) La terra dentro splendido damasco.
Le vespe con il manto verde oro Sono fuggite dai calici chiusi Ecco aggiriamo con la barca isole Del colore di bronzo del fogliame
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