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Riccardo CarlonRiccardo Carlon
Relazione su programma e orientamento ai docenti dell’Istituto Comprensivo “A.Diaz” PDF Stampa E-mail

Io ho avuto la fortuna di insegnare nel decennio più straordinario nella storia della scuola del dopoguerra: dal 1972 al 1981.
In quel decennio incominciavano a maturare, svilupparsi ed estendersi le nuove idee pedagogiche e le rivoluzionarie pratiche educative e didattiche nate negli anni '60. La scuola di Barbiana, Bruno Ciari, Mario Lodi, Gianni Rodari e poi Pontecorvo e Pellerey, per fare qualche nome.
Ho avuto la fortuna di capitare nel momento giusto, ma anche di essere al posto giusto.

Nel 1972 mi era stata infatti consegnata (a me e ad altri tre colleghi con la mia stessa formazione culturale) una scuola elementare di 10 classi in provincia di Venezia, assicurandomi carta bianca nella sperimentazione di un progetto pedagogico di tempo-pieno.
La legge istitutiva della sperimentazione era di un anno prima.
Nei 4 anni in cui sono rimasto in quella scuola e nei 6 successivi in una scuola analoga ho potuto effettuare assieme ai miei colleghi una sperimentazione a 360 gradi sull’istruzione primaria. Sempre sul filo sottile della legalità (a volte anche oltre), protetti dall’ombrello della sperimentazione, prima che le successive norme di legge lo consentissero, abbiamo:

  • introdotto il team di docenti al posto dell’insegnante unico
  • eliminato i voti numerici e introdotto la scheda di valutazione
  • avviato l’insegnamento dell’inglese
  • inserito alunni portatori di handicap
  • reso la bocciatura un fatto assolutamente eccezionale
  • introdotto le assemblee dei genitori e dei bambini del secondo ciclo
  • affiancato all’insegnamento della aritmetica e della geometria quello della logica, della statistica, del calcolo combinatorio, del problem solving
  • sostituito la grammatica tassonomica con quella generativa di Noan Chomsky
  • enfatizzato la produzione di testi a discapito dello studio della grammatica
  • realizzato attività di classi aperte
  • organizzato laboratori per piccoli gruppi su argomenti tabù per la scuola elementare dell’epoca : il teatro, il giornalismo, la fotografia, la stampa.

Avevamo anche introdotto innovazioni che non sono state poi tradotte in norme che ne consentissero l’estensione a tutta la scuola elementare italiana.

  • l’abolizione dell’insegnamento della religione cattolica (con la complicità del parroco locale che condivideva la nostra impostazione)
  • l'educazione sessuale
  • il superamento dell'insegnamento della storia e della geografia (scuola elementare) per la ricerca storico-geografica nell'ambiente.

Quando poi, nel 1981, sono diventato direttore didattico ho sempre cercato di promuovere innovazioni, sperimentazioni.
Mi sono anche sempre impegnato per estendere quelle conquiste (ormai entrate nella normativa con le leggi del 1974-1977-1985-1991) a tutte le scuole e di contrastare chi concepiva il lavoro nella scuola una attività marginale, che consentiva un impegno limitato e molto tempo libero.
Potete quindi immaginare la mia sofferenza per l'attuale smantellamento della scuola pubblica e delle sue conquiste.
Ma io non sono di quelli che si rassegnano, che aspettano che passi la nottata.
La mia capacità di indignazione è ancora intatta e così la volontà caparbia di resistere.
Ciò che sta accadendo, oggi, alla scuola italiana, deve spingerci tutti ad un impegno rigoroso e generoso perché è ormai su questo terreno che si giocherà una delle partite decisive sul tipo di società che ci aspetta dietro l'angolo.
Dopo questa premessa, vorrei proporvi alcune riflessioni sulle finalità e sul ruolo che io intendo dare all'istruzione nel nuovo Istituto Comprensivo che sono stato chiamato a dirigere e che nasce oggi.
E incomincerò citando il pensiero del preside di una scuola americana nell'intervento inaugurale dell'anno scolastico 1951-52.
A fine maggio ero stato invitato assieme all'ex Ministro Fioroni a Mogliano per svolgere una relazione sulla scuola.
Lui è intervenuto alla fine e ha concluso il suo intervento citando appunto questo preside che si rivolgeva ai suoi docenti e diceva più o meno così.

"Se voi volete lavorare in questa scuola non dovere preoccuparvi solo di trasmettere sapere e conoscenza.
Io ho vissuto alcuni anni in un luogo dove prestavano la loro opera bravissimi professionisti.
C'erano ingegneri, chimici, medici, infermieri, ragionieri, amministratori molto preparati ed esperti nella loro materia.
Questo luogo si chiamava AUSCHWITZ.
Gli ingegneri avevano costruito la struttura del lager.
I chimici preparavano e dosavano il gas.
I medici facevano esperimenti sui prigionieri con l'aiuto degli infermieri.
Gli amministratori organizzavano ogni aspetto della vita – se così la si può chiamare-del campo.
AUSCHWITZ insegna anche che una scuola che trasmetta solo sapere e conoscenza, senza preoccuparsi di formare eticamente l'uomo che tali saperi e conoscenze utilizzerà, può generare sempre e dovunque luoghi come AUSCHWIZ."

Io credo che le parole di questo preside esprimano un concetto fondamentale rispetto al nostro lavoro di educatori.
Auschwitz non è infatti solo un luogo che appartiene alla geografia e alla storia.
E' anche un luogo oscuro della mente di ciascuno di noi.
Lì si sono espressi, all'ennesima potenza, stati d'animo che abitano, in misura più o meno accentuata e in determinate circostanze, in tutti noi.
L'intolleranza per le opinioni altrui, il fastidio o almeno l'imbarazzo per la diversità, l'incapacità di provare rispetto, l'egoismo, l'indifferenza, la rinuncia alla responsabilità individuale attraverso il meccanismo dell'obbedienza, l'attrazione per il potere sulle persone, facile a diventare abuso, la sopraffazione.
Sono state effettuate dal dopoguerra in poi molte riflessioni su quella che è stata definita "la banalità del Male" per capire come milioni di persone possano aver compiuto direttamente o indirettamente crimini orrendi in una catena che dalla guerra mondiale arriva fino alle stragi nei Balcani, in Africa e ovunque nel mondo.
Tutte le riflessioni concordano nell'attribuire la spiegazione al contemporaneo verificarsi in sinergia di tre elementi chiave : il contesto, il sistema di appartenenza e la mancata introiezione dei valori morali di rispetto, solidarietà, tolleranza, comprensione e indignazione per tutto ciò che minaccia i valori fondamentali della nostra civiltà.
Molti di voi avranno sentito parlare dell'esperimento, compiuto da una equipe di psicologi dell'università di Stanford nel 1971, di prigionia simulata in una serie di locali dell'università.
Vennero selezionati 24 soggetti, scelti tra centinaia di candidati, in base al loro essere psicologicamente stabili, senza trascorsi di alcool e droghe, senza problemi fisici o mentali: dei "bravi ragazzi" insomma.
Ad una parte veniva assegnato il ruolo di detenuti, ad un'altra quello di carcerieri.
Dopo una sola settimana l'esperimento fu interrotto perché le guardie si abbandonavano alle più feroci aggressioni fisiche e psichiche nei confronti dei detenuti.
Quel primo esperimento, seguito poi da una serie di ricerche e studi, ha dimostrato che il passaggio dal bene al male non dipende da una natura, da un'indole, ma da altre cause fra cui primeggiano appunto il sistema di appartenenza e la situazione.
Tutti possiamo diventare feroci ma questo diventare implica un percorso.
Se questo è vero, la scuola gioca un ruolo straordinariamente importante.
Nella scuola ci sono dei contesti, si creano appartenenze, si esprimono continuamente nei comportamenti e nelle relazioni valori morali e il loro contrario.
Nella scuola si dovrebbero creare le condizioni per l'esercizio di quei valori morali in modo che essi vengano "introiettati" dai ragazzi.
Ma spesso invece avviene il contrario: è l'esercizio dell'intolleranza, dello scherno, della sopraffazione che prevale.
Certo non è solo la scuola l'ambiente della costruzione individuale di un sistema di valori. C'è la famiglia, l'associazionismo giovanile.
Ma noi siamo la scuola e di questo dobbiamo occuparci.
E qui entra in campo tutta la nostra professionalità di insegnanti combinata ad una predisposizione psicologica di disponibilità all'incontro e allo scambio col bambino e col ragazzo.

Il concetto di incontro è essenziale nel processo educativo.
L'insegnante non deve solo insegnare una materia.
E non è neppure sufficiente che sappia ascoltare.
Deve insegnare al ragazzo a trasformare il disagio in parole.
Se un bambino o un ragazzo trova un adulto competente, capace di ascolto e di parola, il ragazzo si impegnerà nella narrazione di sé.
Il segreto di un rapporto positivo insegnante-studente sta nel saper comunicare e interagire nella comunicazione, nell'essere attento ai bisogni emotivi dello studente e nel rispettarne i diritti.
I valori non si trasmettono più con la parola, con il discorso, per non parlare della predica.
I valori si trasmettono con i comportamenti.
Un insegnante distratto, apatico, poco interessato al proprio lavoro, con atteggiamenti di incomprensione o di fastidio o di scherno nei confronti degli allievi in difficoltà, dà un esempio negativo sul piano morale.
L'insegnante che dà un tema da svolgere e poi se ne sta in cattedra a leggere il giornale, trasmette a chi è in difficoltà nella scrittura un senso di solitudine che aggrava le difficoltà e aumenta l'insuccesso.
Aiutarlo invece ad esprimere i propri pensieri con una serie di domande mirate, fornirgli schemi e strumenti per organizzarli in sequenza, aiutarlo indicargli alcune parole che ha scritto in modo ortograficamente scorretto, quando il numero degli errori è eccessivo.
Un ragazzo deve avere coscienza delle proprie difficoltà e lacune, ma non deve veder distrutta la propria autostima attraverso un elaborato devastato da correzioni.
Ci sono insegnanti iper-correttivi, che non salvano nulla di un testo.
Anche questo atteggiamento aumenta la distanza fra docente e allievo.
E più la distanza aumenta più si approfondisce il grado di insuccesso.
Vi sono bambini e ragazzi che incominciano ad impegnarsi solo quando sentono che l'insegnante si dispiace dei suoi insuccessi e cerca di aiutarlo in tutti i modi, anche privilegiandolo rispetto ai più bravi, perché ci tiene a lui.
Qualcuno ha detto che non c'è nulla di più iniquo che dare le stesse cose a chi ha bisogni differenti.
Quindi non dobbiamo avere paura di aiutare chi è in difficoltà.

"La scuola – scrive Freud nel 1909 in una citazione di Galimberti – deve creare nei giovani il piacere di vivere e offrire appoggio e sostegno in un periodo della loro esistenza in cui sono necessitati dalle condizioni del proprio sviluppo ad allentare i legami con la famiglia.
[...]
La scuola non si deve mai dimenticare di avere a che fare con individui ancora immaturi, ai quali non è lecito negare il diritto di indugiare in determinate fasi, seppur sgradevoli, dello sviluppo.
Essa non si deve assumere la prerogativa di inesorabilità propria della vita."

Condivido perfettamente questa idea di scuola perché ci porta a considerare la possibilità di costruire la scuola come luogo in cui i comportamenti sbagliati, le mancanze, gli errori non sono irreversibili, "inesorabili", ma possono essere modificati, corretti.
Questo richiede ovviamente un grande impegno, una grande professionalità e un pieno coordinamento da parte di tutti gli operatori della scuola.
Anche di tipo didattico.
Ecco, appunto, la didattica.
Anche nel modo di insegnare, nelle scelte metodologiche, si veicolano valori morali.
Una didattica solo direttiva - la lezione frontale - non veicola gli stessi valori di una didattica basata anche sulla sperimentazione, sulla ricerca, sulla discussione, sul lavoro di gruppo, sull'attività di laboratorio.
Come le scelte metodologiche, anche quelle dei contenuti non sono scelte neutre. Pensiamo all'arte nella scuola secondaria.
Posso scegliere di fare una lezione sulle ninfee di Monet (bellissima la mostra di Milano), ma sicuramente una lezione su Guernica di Picasso consente una serie di ragionamenti interdisciplinari sull'arte e sulla storia più vicini al mondo del ragazzo.
E non si tratta di una scelta solo estetica, ma anche di contenuto.
Posso parlare ai ragazzi della bellissima casa sulla cascata di Wright, ma se propongo il progetto di città lineare di Miliutin posso collegarmi a questioni che spaziano dalla storia (la rivoluzione russa) all'urbanistica, alla sociologia.
E' evidente che la scelta dei contenuti è importante rispetto a quello che si vuole veicolare.
In zoologia posso parlare delle specie presenti nei vari continenti e delle loro caratteristiche morfologiche o analizzare e discutere dei comportamenti animali scoperti dagli etologi negli ultimi anni che rivoluzionano completamente le precedenti nozioni sul mondo animale.
Già tutta una serie di ricerche, negli ultimi decenni, ha scoperto e studiato i meccanismi dell'intelligenza negli animali, intelligenza che si è dimostrata esistere e essere in certi casi molto evoluta, fino alla costruzione di manufatti.
Ora la nuova frontiera della ricerca sta scoprendo comportamenti, da parte di alcuni soggetti animali, che potremmo definire di tipo etico, nel senso che appaiono incongruenti sia con l'istinto che col principio darwiniano di selezione naturale.
Sono stati documentati numerosissimi esempi di comportamento animale che rivelano cooperazione, empatia, solidarietà, senso di giustizia:

  • l'elefantessa anziana che interviene contro un giovane che aggredisce una giovane elefantessa ferita ad una zampa e zoppicante;
  • lupi che sfamano compagni di branco vecchi e feriti;
  • l'ippopotamo che cerca di aiutare a rialzarsi l'antilope ferita da un coccodrillo, testimoniando che certi comportamenti non si giustificano neppure con l'appartenenza ad una stessa specie;
  • il gatto Libby che guida al cibo il vecchio amico cane Cashew diventato cieco e sordo.

Uno studio in questa direzione (su testi, libri fotografici, video) potrebbe risultare molto affascinante per i ragazzi e veicolare contenuti che aprono a una vasta serie di riflessioni.
Introduco a questo punto un concetto essenziale, per abbattere l'insuccesso scolastico di molti ragazzi, che è un altro degli obiettivi che dobbiamo proporci di raggiungere.

Non ci si può limitare a trasmettere nozioni e pretendere apprendimenti ormai largamente superati o che non contribuiscono alla formazione – nel bambino e nel ragazzo – di capacità creative, critiche.
Di più, contenuti e apprendimenti che il ragazzo giudica poco o nulla interessanti, noiosi , inutili.
Stimolare nei bambini e nei ragazzi la curiosità non è più sufficiente per ostacolare il peggior nemico dell'istruzione : la noia.
Bisogna puntare anche sullo stupore: è questa una delle chiavi di accesso al mondo del bambino e del ragazzo.
Vanno cercati nelle discipline anche (certo non solo) quegli aspetti in grado di suscitare meraviglia, stupore.
Tutto ciò che in ogni disciplina esce dalla norma, è eccentrico, apre a orizzonti intellettuali inconsueti.
Così, in un programma di educazione all'immagine, dovrebbe trovare ampio spazio un percorso sulla percezione visiva e i suoi inganni.
Non solo Escher che lavora sulle immagini, ma anche tutti gli inganni della percezione geometrica a livello di linee, superfici, volumi con un collegamento interdisciplinare con la matematica (e perché no, anche con la letteratura, pensiamo al romanzo Flatlandia)
Così, in un programma di fisica, dovrebbe trovare ampio spazio un percorso sull'ottica: specchi, rifrazione della luce...
Nella letteratura andrebbero evitate proposte che non sono adatte all'età dei ragazzi e che pure sono contenute in molti libri di testo della scuola media.
Ad esempio proporre l'Infinito di Leopardi a un ragazzo di 14 anni significa precludergli la possibilità di scoprire questa poesia e di farne esperienza all'età giusta per accoglierla nel proprio Io, cioè a 16-17 anni.
Viceversa l' Inno ad Arimani, dello stesso Leopardi, è percepibile anche a 14 anni perché descrive perfettamente quel lato oscuro dell'umanità e del mondo che fa parte della realtà e dell'immaginazione di un ragazzo contemporaneo.
Una poesia incompleta, con molti "eccetera", sconosciuta a quasi tutti perché in qualche modo "secretata" da una cultura dominante orientata diversamente (sia cattolica che marxista). Magari proponendola, dopo averla letta studiata e discussa, nella straordinaria interpretazione che ne ha fatto Carmelo Bene e che, per chi se la sia persa all'epoca, può essere recuperata su youtube.
Coltivare nei ragazzi l'ironia, il senso dell'umorismo, soprattutto la satira : testi e immagini.
Vi sono vignette satiriche che valgono da sole un saggio critico e che mettono in moto “violentemente” il pensiero, stimolando riflessioni : penso ad Altan a Giannelli a Elle Kappa, tanto per fare qualche nome.
Ma ci sono anche autori meno “politici”, che hanno accuratamente indagato tutta la gamma della stupidità, dell'ignoranza, dell'incoerenza, della meschinità, della sopraffazione, fissando ogni aspetto in un'immagine o in una frase che ne restituisce in pieno lo spessore.
L' Altan non politico, Quino...
Ci sono tante idee da pensare, progetti da realizzare, sperimentazioni da avviare.
Io non ho subìto questa verticalizzazione delle scuole del centro storico.
Se fossi stato contrario l'avrei ostacolata e ne avrei avuto tutti gli strumenti per farlo.
Io ho invece seguito la nascita di questo progetto con convinzione, con un atteggiamento di consenso critico e rivendicativo (Cfr intervento sul Gazzettino).
L'ho ritenuta una straordinaria occasione di rilancio della scuola pubblica nel centro storico, di competitività rispetto al successo della scuola privata.
La collaborazione di tutti è però necessaria affinché questo progetto non vada sprecato o peggio non finisca per portare ad un peggioramento della situazione.
E collaborazione non significa solo contribuire a definire i vari aspetti organizzativi anteponendo efficienza ed efficacia alle proprie esigenze personali.
Collaborazione significa anche un impegno professionale sul piano dell' operare per far stare bene a scuola bambini e ragazzi, sul piano della didattica e delle relazioni con studenti e famiglie e fra colleghi.
Di fronte ad una politica governativa tesa a ridurre risorse e spazio-tempo alla scuola pubblica, noi dobbiamo rispondere alzando la qualità dell'insegnamento, sfruttando al massimo la nostra professionalità ed esplorando nuovi percorsi formativi.
La politica di questo istituto non sarà del "tanto peggio tanto meglio" neppure nella forma politicamente 'nobile" del "facciamo scoppiare le contraddizioni".
La politica di questo istituto sarà quella della resistenza, in modo che quando questa congiuntura sarà finita si possa ricostruire la scuola pubblica non su delle macerie ma su una struttura che ha tenuto.
Il primo obiettivo è far sì che bambini e ragazzi tornino a casa da scuola soddisfatti – meglio ancora – entusiasti per quello che hanno fatto.
E questo non dipende dalle risorse materiali della scuola, ma solo ed esclusivamente dal nostro rapporto con gli allievi e dalle offerte didattiche che proponiamo e dal modo in cui le proponiamo.
Ho visto classi di scuola elementare in preda ad una autentica euforia- durante una lezione di matematica- al punto da accogliere con un coro di No! il suono della campanella dell'intervallo.
Tanto per citare una materia che nell'immaginario collettivo si presta poco a scatenare entusiasmo.
Viceversa ho assistito ad una “lezione” di scienze, sempre nella scuola elementare, in cui l'insegnante distribuiva delle schede su vari animali che ogni alunno doveva individualmente leggere e riassumere.
Una noia mortale, oltretutto nella confusione più totale di alunni che cambiavano continuamente scheda in un va e vieni caotico e rumorosissimo.
Come spesso accade è stato l'alunno più indisciplinato a dare una "lezione" di didattica.
Dichiarando di essere stufo e di non voler fare più nulla, si accostava alla porta- finestra del giardino e prendeva in mano un coleottero coloratissimo, osservandone forma, colori, movimenti e facendone su un foglio un "disegno scientifico".
Va assolutamente superato l'atteggiamento di molti docenti che non nutrono mai neppure un piccolissimo dubbio in merito al proprio modo di fare scuola; incapaci di mettersi in discussione, di autocritica...
Di fronte ad una classe che non segue la lezione, che fa confusione o a ragazzi che li offendono, molti insegnanti reagiscono convincendosi di avere a che fare con maleducati, sfaticati, disinteressati ecc.
Convinti che il loro fare scuola è, in tutte le situazioni, il miglior modo di fare scuola possibile non introducono alcun cambiamento, limitandosi ad arrabbiarsi, gridare, fare interrogazioni "punitive", erogare punizioni: note e sospensioni...
Mi è capitato durante l'estate un volumetto che riporta un'ampia serie di note disciplinari scritte dai docenti sui libretti scolastici degli alunni o sui registri.
A parte la descrizione di situazioni esilaranti, di risposte degli alunni ai docenti di una comicità straordinaria, quello che colpisce è il fatto che alcuni docenti non si accorgono di attestare – con la scrittura della nota di rimprovero – il fallimento della propria azione educativa.

"La classe mi guarda con aria di sfida"
"La classe mette in dubbio la validità dei miei studi sostenendo che la sottoscritta abbia comprato la laurea"
"L'alunno T. mi chiude il libro in faccia dichiarando totale disinteresse per la mia materia"
"Durante l'ora di filosofia la classe stenta a credermi"
"La classe finge che io non esista"
"La lezione viene interrotta per palese disinteresse della classe"

Sul tema delle punizioni apriremo in una successiva occasione un discorso approfondito che parta dalla consapevolezza che la punizione è efficace quando non è inflazionata e quando vi è il riconoscimento dell'autorevolezza di chi punisce da parte del punito.
C'è poi la questione del rendimento scolastico.
Dobbiamo acquisire consapevolezza che quando un ragazzo accumula continue insufficienze in una materia, almeno una piccola percentuale di questo insuccesso è imputabile all'insegnante stesso:

  • troppo severo o troppo disponibile
  • intimidisce o favorisce un rapporto eccessivamente amicale
  • trascura metodologie o contenuti di sicuro interesse a vantaggio di lezioni solo frontali e contenuti tradizionali
  • magari le sue spiegazioni utilizzano parole che non erano nel vocabolario del ragazzo(-500 parole)
  • ha dato per scontato "saperi" che non erano nel bagaglio culturale del ragazzo ("erano di competenza della scuola primaria")
  • ha difficoltà a tenere la disciplina in classe (media nazionale 13% del tempo, quindi ci saranno anche punte del 30 – 40%)
  • non è intervenuto con la famiglia (se è presente e disponibile, e in molti casi lo è) alle prime manifestazioni di insuccesso.

La maggior parte delle famiglie con i figli in difficoltà sviluppa rapidamente un'ostilità nei confronti degli insegnanti e della scuola che ha lo scopo principalmente di auto-assolversi dalle proprie carenze e responsabilità. "E' colpa della scuola"!
I problemi vanno affrontati SUBITO e se il genitore percepisce che questa tempestività – da parte degli insegnanti e del preside – è un segno di preoccupazione, di volontà di cura, di disponibilità all'ascolto e all'aiuto, è possibile che collabori e si dia da fare.
Naturalmente c'è poi un'ampia percentuale di responsabilità diretta da parte del ragazzo.
Non sono fra quelli che assolvono i ragazzi con la formula ipocrita del "disagio giovanile" o dei "problemi familiari".
Credo fermamente nel libero arbitrio in tutti i campi e a tutte le età.
E su questo punto sarò molto chiaro nel mio intervento all'inaugurazione dell'anno scolastico con i ragazzi delle scuole medie.
Ma la scuola ha comunque una responsabilità che deve saper riconoscere se vuole mettersi nelle condizioni di modificare e rendere efficace il proprio intervento.
La funzione del team dei docenti, in questo senso è insostituibile e strategica.
Purtroppo nella scuola secondaria non è stato previsto di scorporare dall'orario settimanale di lezione due ore per attività di confronto e coordinamento didattico e questo nuoce alle potenzialità del team che si riunisce solo 6-7 volte l'anno anziché le 30 come avviene nella scuola primaria.
Riteniamo l'importanza del team strategica,al punto che nella scuola primaria non attiveremo quella parte della Riforma Gelmini che cancella il team per l'insegnante prevalente.
Lo faremo avvalendoci delle prerogative autonomistiche degli Istituti, in ciò confortati anche dal parere del direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale, che nella riunione di servizio coi dirigenti scolastici della regione, ad una mia domanda in tal senso rispondeva che si poteva fare.
Resterà quindi l'organizzazione di due classi parallele con il team di tre insegnanti.

COSTRUIRE un progetto educativo unitario dai 3 ai 14 anni.
E' uno dei principali obiettivi da raggiungere in questo anno scolastico e il senso della creazione di un Istituto Comprensivo.
Anche questo punto verrà affrontato e approfondito in un'altra occasione.
Sarà però necessario fin d'ora prevedere e programmare una serie di coordinamenti didattici a livello delle varie discipline, utilizzando le risorse del fondo di istituto.

Anche il tema della AUTOVALUTAZIONE dovrà trovare un'occasione di analisi specifica.

In questo Istituto Comprensivo ho intenzione di sperimentare quest'anno forme di autovalutazione dei docenti e dell'organizzazione.
Non è solo una questione legata all'applicazione della direttiva del Ministero della Funzione Pubblica (2006!) sulla qualità della Pubblica Amministrazione :
Ciascuna Amministrazione deve saper valutare la propria prestazione organizzativa, individuare le priorità, pianificare i necessari cambiamenti.
Ruolo essenziale , nell' autovalutazione , dei destinatari dei servizi e importanza di rendere conto dei risultati.
So che e' un terreno molto impopolare fra i docenti e non voglio minimamente che si pensi io voglia agire in modo burocratico e gerarchico.
La valutazione del lavoro dei docenti è una delle condizioni per il miglioramento della qualità dell'apprendimento.
Ma tempi, forme e modalità di questa valutazione è essenziale siano condivisi, anzi siano gli stesso docenti a definirli.
Ricordandosi che, comunque, la valutazione dei docenti esiste già nella scuola, ma in modo arbitrario e non oggettivo .
Ogni docente è infatti costantemente valutato dai colleghi, dagli alunni, dai genitori, dal dirigente.
Ma è una valutazione che non serve né al cambiamento, né al miglioramento dell'offerta formativa complessiva della scuola ed è anzi dannosa perché si basa su elementi vaghi, soggettivi, umorali, su pure "impressioni".
Per contribuire a definire che cosa si va a valutare sono opportune alcune considerazioni.
Il cuore della professionalità docente non è la conoscenza della materia, né la capacità tecnico-didattica,( che io considero scontate) ma la capacità relazionale.
E' la capacità relazionale a rendere efficace la competenza tecnica dell'insegnante consentendogli di contribuire alla crescita conoscitiva e alla formazione degli studenti (Meazzini-Soresi su Tuttoscuola n°102/2001).
Ogni insegnante deve investire molto nel coltivare questa capacità e nell'acquisirla rapidamente se non ce l'ha.
Spesso invece gli insegnanti che hanno carenze nella capacità relazionale reagiscono inasprendo ed enfatizzando aspetti quali la severità, la freddezza, la distanza, il rifiuto all'ascolto ecc.
Così facendo quel poco di capacità relazionale, che comunque hanno, diminuisce ancora di più con conseguenze non di rado devastanti sul piano della disciplina e del rendimento scolastico degli alunni in difficoltà.
Il significato della valutazione dell'insegnante è offrirgli elementi utili alla sua crescita personale e professionale.
Per questo NO a valutazioni globali – tipo buono, eccellente – utili , come scrive Meazzini, a valutare una minestra, ma non le prestazioni di un docente.
Anche dire di un insegnante "competente" o "poco competente" non significa nulla.
Nel primo caso abbiamo un generico apprezzamento, nel secondo caso un insulto.
Il rispetto dell'insegnante esige che una eventuale valutazione critica offra informazioni.
Tipo:

  • propone agli allievi compiti superiori al loro grado di preparazione
  • offre scarse motivazioni agli studenti
  • nelle lezioni utilizza vocaboli poco accessibili agli allievi, dandone per scontata la conoscenza.

Se la valutazione è positiva l'informazione potrebbe essere così articolata:

  • sa ideare un progetto e lo sa implementare
  • formula obiettivi raggiungibili e verificabili
  • identifica e pone in sequenza i passi da percorrere per raggiungerli
  • dedica ampio spazio alla motivazione.

Ancora dalle indicazioni emerse nella ricerca di Meazzini-Soresi:
Una delle macroabilità fondamentali dell'insegnante – tenere una lezione frontale in modo efficace- Può essere articolata in:

  • prima di iniziare la lezione fornisce uno schema riguardante i contenuto
  • passa da un contenuto all'altro in modo logico e corente
  • usa un eloquio alternato che attenua la probabilità di produrre monotonia negli allievi

potremmo aggiungere altri punti come

  • coinvolgere gli allievi con domande o invitandoli ad esprimere opinioni
  • saper percepire la caduta di attenzione e agire in conseguenza

Voglio concludere presentando di seguito alcune idee che – con la vostra collaborazione – potrebbero diventare PROGETTI da attuare.

  • Un giornale scolastico autogestito dagli studenti delle medie (e forse anche di quinta elementare) nelle ore di assenza dei docenti.
    Con un docente supervisore per ciascuna delle scuole.
  • L'elezione di uno studente rappresentante di classe come nella scuola secondaria di secondo grado (classi delle medie e forse di quinta elementare)
  • Interventi sullo stare bene a scuola, sul bullismo con lezioni, conversazioni, interventi di esperti ma anche l'apertura di uno "sportello" a cui possano accedere genitori, alunni e insegnanti in difficoltà.
  • Progetto Libro Amico, per la scuola primaria e d'infanzia, con una serie di "libri animati" da sfogliare e manipolare già acquistati per circa 600 euro. L'importanza della lettura, non solo sul piano dell'arricchimento culturale, ma anche su quello più ampio della personalità, ha trovato nuovi elementi in alcune recenti ricerche di neuroscienze. Si è scoperto che nella lettura di un racconto o un romanzo, in certi passaggi, vengono attivate le stesse aree cerebrali che presiedono all'attività reale. Quella che abbiamo sempre chiamato immedesimazione nei personaggi e nelle storie ha oggi un riscontro clinico. I libri-animati consentono al bambino di accostarsi al libro (di per sé meno appetibile di un video-gioco o di un cartone animato) entrando materialmente nella situazione. Pensiamo ai libri di National Geographic che ripropongono gli ambienti del deserto, delle foreste, degli oceani con scenari tridimensionali e animali nascosti che con l'uso di leve e linguette escono dalla pagina. O i libri che ripropongono le storie di film, come quello su Guerre Stellari, con suoni, astronavi sospese da fili sulla pagina e perfino la spada laser da attivare.