Dalla società multiculturale all'intercultura come progetto Stampa
Venerdì 10 Marzo 2006

Ho qualche perplessità – in questa fase storico politica – della necessità di convegni tematici costruiti per raccontare solo ciò che si è fatto e si fa.
Convegni in cui viene celebrato un impegno straordinario, grandi risultati, esperienze importanti, non c’è dubbio, ma anomale, uniche.
Quando ci si trova, come noi ci troviamo da cinque anni, in una situazione di emergenza, di precarietà, di incertezza c’è il rischio che questi convegni finiscano per coprire la realtà generalizzata dei fatti o – come si diceva una volta - mistificarla.

Se di una cosa c’è bisogno oggi è di una coraggiosa e disincantata analisi della realtà, dello stato delle cose, dei problemi, dei rischi e dopo o contemporaneamente individuare i percorsi di soluzione.
O almeno di contenimento dei problemi entro realistici margini di accettabilità.
Quale è dunque la realtà scolastica , integrata dalla presenza nelle scuole degli alunni immigrati.
E’ di questo che a mio parere si deve parlare in ogni occasione, della realtà scolastica nel suo complesso, delle condizioni materiali che
rendono possibile l’insegnamento e l’apprendimento, delle cose e delle sogget tività.
Rappresenta una forma di emarginazione – lo dico in modo provocatorio - anche solo pensare alla presenza del bambino straniero come un problema nella scuola.
Un’emarginazione più sofisticata perché l’attenzione , la preoccupazione, la cura, sembrano lavorare per l’integrazione.
Invece porre la questione in questi termini è ancora emarginazione, perché il problema vero non è lo straniero nella scuola; il problema vero da affrontare è questa scuola, questa classe.
Fin dai tempi della grande stagione riformistica degli anni Settanta ad oggi, si è sempre pensato alla scuola come ad una sommatoria di problemi da affrontare separatamente, uno ad uno.
C’è l’alunno disabile: diamogli un insegnante di sostegno specializzato.
C’è il bambino svantaggiato sul piano cognitivo, ecco la compresenza fra i docenti di classe.
C’è il bambino straniero, mandiamogli un facilitatore linguistico.

Questo all’inizio, salvo poi diminuire progressivamente queste risorse, senza tuttavia azzerarle in modo che resti l’impressione di un generoso impegno.
Pensiamo al sostegno dell’ handicap nel 1977.
Su una frequenza scolastica di 24 ore, il bambino disabile poteva contare quasi sempre sul 100% di aiuto da parte di un insegnante specializzato (rapporto uno a uno e orario dell’insegnante, appunto, di 24 ore).
Si è passati negli anni ad un rapporto, nel migliore dei casi di uno a due, con un insegnante nella maggior parte dei casi non specializzato, con un orario di 22 ore (- 2) e con una frequenza scolastica del bambino passata a 33 ore (40 nel tempo - pieno).
Dal 100% l’aiuto è passato al 25%.
Ma vediamola questa classe nella quale un bambino straniero dovrebbe sentirsi “accolto”.
25 alunni che frequentano 33 ore (30 più mensa) e un insegnante e mezzo, cioè 33 ore di docenza.
(Non considero neppure tempi e organizzazione immaginati dalla Riforma Moratti che dopo il 9 aprile sarà carta straccia.)
Dunque, non ci sono più compresenze fra i docenti (33 ore di frequenza - 33 ore di docenza) ; quindi un insegnante è da solo con 25 alunni : basta attività di gruppo, basta recupero dello svantaggio, basta laboratori.
Quale insegnante può gestire un laboratorio di informatica con 7 computer e 25 alunni?
Naturalmente fra questi 25 alunni ve ne sono di particolarmente vivaci, magari aggressivi, privi di controllo delle proprie energie e delle proprie necessità, che non rispettano le regole di una comunità.
C’ è il bambino disabile, (a volte addirittura due) al quale l’insegnante di classe deve far fronte nel 75% del tempo scolastico in cui non c’è l’insegnante di sostegno.
Non c’è personale ausiliario al piano in cui si trova la classe e i bambini chiedono spesso di uscire, l’insegnante li deve controllare.
Molto spesso – a causa del perverso meccanismo di nomina dei supplenti – la classe deve ospitare altri 4-5 alunni, di altre classi di diverso grado.
Bambini che avrebbero diritto di essere impegnati in un’attività didattica che non sia il solito disegno libero.
C’è anche un programma da svolgere, competenze da far acquisire, stimoli culturali da offrire, anche capacità strumentali da raggiungere ( la lettura, la scrittura, il calcolo).
E finalmente, fra i 25 bambini, all’inizio o nel corso dell’anno, sono arrivati alcuni bambini figli di immigrati di varie nazionalità, con diversi gradi di conoscenza dell’italiano ( molti non ne parlano nè capiscono parola).
Può un insegnante governare da solo questa realtà che è questa classe.
E’ su questa impotenza che cresce la confusione e rischia di nascere un sentimento di ostilità nei confronti dello straniero, alla cui presenza si finisce per attribuire la responsabilità della caduta di qualità dell’istruzione della classe.
La straordinaria ricchezza, la grande opportuni tà che la presenza di bambini stranieri in una classe potrebbe offrire sul piano del confronto, dello scambio, del rapporto simpatico fra culture, razze e religioni, questa ricchezza, questa opportuni tà viene perduta e si trasforma nella percezione di un danno.
Credo che non si stia valutando con la dovuta consapevolezza il rischio grave che sta correndo, anche in questo campo, la democrazia a causa di un’ inattività legislativa su queste questioni e dell’avarizia di risorse manifestata dai governi di questo paese nei confronti della scuola.
E non si tratta solo di mancate risorse specificatamente destinate all’integrazione degli alunni stranieri.
Una buona integrazione non passa solo attraverso la presenza di mediatori culturali e facilitatori linguistici, figure pur necessarie.
Una buona integrazione impone un contesto classe diverso.
Questa scuola, questa classe vanno radicalmente trasformate.
Lo strumento principale è lo statuto di Autonomia delle scuole, che permette di gestire direttamente l’organizzazione e le risorse.
Poi si tratta di individuare le risorse - soprattutto di personale - adeguate.
E’ quell’organico funzionale di Istituto immaginato molti anni fa, annunciato e mai realizzato.


Alcuni punti di rivendicazione, in sintesi:

  1. Personale stabile : assunzione a tempo determinato dei precari e obbligo di permanenz a nell’istituto per almeno tre anni.
  2. Classi limitate a 20 alunni
  3. Insegnanti di sostegno specializzati, in un rappor to pari al 50% della frequenza scolastica
  4. Accudenti comunali per i disabili gravi, adeguatamente formati e selezionati in modo da poter contribuire alla costruzione dell’autonomia e dei processi di socializzazione
  5. Facilitatori linguistici, esperti nell’apprendimento della seconda lingua, assunti a tempo indeterminato e aggregati all’istituto. Si tratta di una figura essenziale per l’integrazione degli stranieri perché agisce indipendentemente dalla lingua di origine del bambino e quindi la sua presenza nella scuola è utile sempre e comunque.
  6. Dotazione aggiuntiva di supplenti assunti annualmente per far fronte alle esigenze delle supplenze temporanee (quelle di pochi giorni).
  7. Aumento del personale ausiliario nelle scuole, ripristinando i paramet ri di calcolo degli anni novanta.

Solo in questa nuova scuola, in questa nuova classe il bambino straniero potrà trovare vera accoglienza e integrazione.
Questo non è , come molti possono pensare, un Libro dei Sogni, ma una Realtà a portata di Lotta.