Congresso FLC-CGIL Stampa

Non parlerò dei problemi della mia categoria : il dirigente scolastico.
In primo luogo perché è innegabile che in questi anni vi sia stato un notevole miglioramento delle condizioni economiche e giuridiche.
Anche se questo avrebbe dovuto essere il contratto dell’equiparazione con la dirigenza del Pubblico Impiego.
E non è stato.
Anche se vi è invece stato un vertiginoso aumento degli oneri e delle responsabilità.
Penso alle norme sulla sicurezza che ora fanno parte delle responsabilità del dirigente-datore di lavoro e della privacy.
Ma nonostante queste aumentate responsabilità, la funzione dirigenziale ha registrato una consistente rivalutazione sociale ed economica rispetto al passato.
Tuttavia il disagio e la frustrazione dei dirigenti scolastici crescono in modo esponenziale di anno in anno e la causa è nella politica del governo sulla scuola.
L’aggressività – vorrei dire la violenza – manifestata da questo governo di centrodestra nei confronti della scuola pubblica e di chi vi lavora non ha precedenti nella storia di questo paese.


E questa aggressività si combina con uno stato di generale abbandono : una combinazione solo apparentemente paradossale.
In realtà parte di un disegno “intelligente” : coerente e unitario.
Da un lato un’iperattività riformista che non si è dimostrata del tutto efficace solo a causa di una non affinata capacità legislativa.
I legislatori del centro-destra sono ancora superficiali, approssimativi e incompetenti.
E’ la loro stessa arroganza a perderli.
Emanano leggi che non rispettano le procedure, prive di quella chiarezza, univocità e rigore che ci consentono di trasgredirle legittimamente.
Commettono l’errore di lasciare intatti quei poteri e quelle competenze, dentro il mondo della scuola, (Collegi dei docenti e Consigli di Circolo) che ci consentono di disinnescare gli aspetti più devastanti, di queste riforme.
Penso al tutor la cui nomina è condizionata dal via libera del Collegio dei docenti.
Penso alla riduzione dell’orario scolastico (a 27 ore) che dipende dalle scelte dei genitori.
Ma è solo questione di tempo.
Altri 5 anni di governo di centro-destra e avremo legislatori reazionari in grado di costruire leggi che nessuna volontà popolare e nessun comitato di difesa potrà scardinare.
Per questo la partita che si giocherà in aprile è la più importante degli ultimi quarant’anni.

Non parlerò neppure contro le riforme Moratti nella scuola elementare; non dirò cosa abbiano rappresentato per il mondo della scuola.
Le riforme del Ministro sono già state liquidate dall’azione congiunta dei lavoratori della scuola e dei genitori degli alunni.
A volte in modo netto, senza se e senza ma.
A volte in modo più mascherato, per il timore di chissà quali ritorsioni.
Comunque sia, l’intero mondo della scuola elementare le ha rifiutate nella sostanza e aspetta solo che il nuovo governo di centro sinistra ne certifichi il decesso.
Che sia l’abrogazione o una forma più sfumata di “sospensione dell’esecutività” – per accontentare la Margherita – non cambia nulla sul piano pratico.
Considerato che l’abrogazione di una legge comporta un iter complesso e che vi saranno ben altre priorità e urgenze ( dalla Costituzione alla Giustizia), una
sospensione dell’esecutività delle riforme è più rapidamente percorribile.
Di queste riforme però qualcosa sul tutor va detta, perché è una “innovazione” non priva di seduzione per molti insegnanti e ancor più genitori.
Il Tutor è un’invenzione che ha molti obiettivi.
Il principale obiettivo è quello di operare una regressione dell’insegnante dalla dimensione dello scambio e della condivisione di un progetto educativo pensato collegialmente (nel team) ad una dimensione individuale.
Una scuola formata da unità-docente anziché da un team è meno vivace, meno attiva – sul piano del confronto e del dibattito.
L’insegnante è isolato, più controllabile e ricattabile.
Non si è valutato abbastanza il significato politico dell’introduzione del tutor, al posto del team, enfatizzandone solo o soprattutto l’aspetto pedagogico-didattico.
L’introduzione del tutor ha invece anche una importante valenza politica: riporta l’insegnante ad una dimensione di solitudine professionale e lo espone indifeso al potere arrogante dell’ Amministrazione scolastica.
La prova generale è stata con la valutazione INVALSI.
Si è cercato di imporne l’esecuzione ai docenti, contro ogni logica e ogni diritto.
E laddove era forte l’opposizione, i dirigenti scolastici sono stati invitati a farsi “prefetti”, precettando i docenti attraverso l’ ordine di servizio.
Ebbene, dove c’erano situazioni di debolezza, di scarsa coesione fra i docenti, l’ordine di servizio ha funzionato.
L’introduzione – o meglio la tentata introduzione del tutor – va letta assieme alla politica di aumento del precariato e al suo uso politico da parte del governo.
Una volta garantito alla classe il tutor-maestro unico, con le sue 18 ore di lezione su 25 ore (2 ore sono di religione cattolica con personale aggiunto), le altre ore possono progressivamente lasciate a personale assunto a tempo determinato o, meglio ancora, a “progetto”.
Una forza lavoro precaria, nella scuola, ha l’impossibilità strutturale di::: anche solo immaginare un proprio ruolo attivo nella partecipazione alla vita della scuola, agli organi collegiali, alle occasioni di dibattito e di confronto.
Il lavoratore precario fatica a riconoscere forme di aggregazione, di condivisione di problemi, di ricerca di soluzioni.

Inutile dire che è più facilmente controllabile e ricattabile.
Dobbiamo combattere il precariato non solo perché è una vergogna sul piano morale, perché calpesta il diritto costituzionale al lavoro e il diritto dello studente alla continuità dell’azione educativa.
Dobbiamo combattere il precariato anche perché è indirettamente finalizzato ad indebolire i lavoratori e le loro organizzazioni sindacali.
Si potrebbe continuare ad analizzare ogni segmento delle riforme Moratti dal punto di vista del loro impatto sulle condizioni di lavoro del docente.
Quando si dice che questo governo vuol far tornare indietro la scuola di trenta anni non si descrive completamente la dimensione del progetto politico del centro-destra e la sua pericolosità.
Non è tanto o solo l’organizzazione e i contenuti dell’Istruzione che interessano al centro-destra, quanto il controllo e la sottomissione del lavoratori della scuola.
Ha un significato – in questo disegno politico – che le autorità scolastiche regionali non perdano occasione per attaccare il sindacato accusandolo di falsità, disinformazione, infiltrazione nelle istituzioni scolastiche, per cui alcuni collegi dei docenti (fra cui ovviamente quello presieduto da me) diventano “megafono della CGIL”.
Il sindacato è percepito consapevolmente come una forza potente, in grado di ostacolare quel progetto di dominio.
Bisogna quindi comprendere che le Riforme Moratti rappresentano innanzitutto un attacco ai lavoratori della scuola, alle loro forme di aggregazione professionali, alle condizioni materiali del loro essere a scuola.
E la risposta da dare è il rafforzamento di ogni forma di aggregazione, l’invenzione di nuovi contesti associativi (penso ai Comitati di difesa della scuola pubblica), la tenuta e l’espansione di tutti gli spazi conquistati (fra tutti l’ Autonomia scolastica).
Ma vi è anche un altro livello di discorso su cui vorrei si ponesse l’attenzione e che, nella situazione attuale di emergenza e di lotta, non ha avuto lo spazio dovuto.
Si tratta di incominciare ad operare una valutazione degli errori commessi dal centrosinistra – per quanto riguarda la legislazione scolastica – e dal sindacato – per quanto riguarda alcuni aspetti della contrattazione, prima del 2001.
Le riforme del ministro Moratti – con le gravissime conseguenze per i lavoratori della scuola e per il paese – non sono delle meteore venute dallo spazio profondo a devastare la scuola.
Sono germinate su un terreno fertile, quello delle riforme interrotte, confuse e contraddittorie della grande stagione riformista che va dal 1970 ai primi anni Novanta.
Non c’è nulla di più pericoloso in democrazia.
Le riforme incomplete creano disordine, confondono i cittadini e li sospingono verso derive di pensiero e di attese.
Non è un caso che il tutor riceva qualche apprezzamento da larghe fasce di genitori e insegnanti, se in alcune classi di scuola elementare entrano anche 8 insegnanti.
Ne cito qualcuna.
Le leggi 517 del 1977 sull’inserimento degli alunni portatori di handicap nelle classi normali.

Già pochi anni dopo era risultato chiaro che si era trattato per lo più di una manovra economica di risparmio con la chiusura delle scuole speciali:

  • nessun programma a lungo termine di formazione continua degli insegnanti specializzati;
    ( D’altra parte a che serve se norme successive prevedono tranquillamente la possibilità di insegnanti di sostegno non-specializzati)
  • nessun programma di formazione generica sull’handicap per tutto il personale docente;
  • limitate risorse economiche per materiali didattici specifici e la mancanza di spazi attrezzati da affiancare all’aula per i casi più gravi;
  • aumento del numero degli alunni nelle classi con portatore di handicap : dai 20 alunni nel 1977 ai 25 attuali.

La legge sull’integrazione degli alunni stranieri nelle classi, altra legge di grande civiltà, ma che per la sua incompletezza ha finito per creare situazioni di grande tensione e disagio nelle classi : senza risorse, senza personale specializzato come i facilitatori linguistici e i mediatori culturali (figure che esistono ma stanno scomparendo per mancanza di fondi), senza un programma di formazione del personale docente.
Gli stessi Programmi didattici del 1985 risultano in gran parte inapplicati.
C’era fin dall’inizio la consapevolezza del fatto che questo Programmi imponevano l’avvio di un vasto progetto di riconversione culturale e professionale del personale docente.
Si pretese invece con corsi di poche decine di ore di adeguare i docenti ai contenuti e alle metodologie innovative che i nuovi programmi prefiguravano.Per non parlare del fatto che quei corsi si sono conclusi nel 1992.
Da ultimo i nuovi ordinamenti della scuola primaria, all’inizio degli anni Novanta.
La creazione di una doppia tipologia – tempo-pieno e moduli – ha istituzionalizzato una frattura fra due modelli di scuola, laddove era invece necessaria una scuola unitaria e coerente con i Programmo dell’ 85.
Una scuola unica, che assomigliasse al tempo-pieno, ma con alcune rinunce : certo non era proponibile a livello nazionale un orario di 40 ore o i due insegnanti per classe.
Su tutto la trasformazione concettuale della scuola – operata dai governi degli anni novanta con una serie di leggi e non adeguatamente ostacolata dal sindacato - la trasformazione dicevo della scuola da Istituzione Pubblica a Servizio, aprendo la strada alla degenerazioni del preside-manager, dell’efficienza aziendale, dell’alunno utente, del genitore cliente.

Oggi tutta la nostra attenzione e la capacità di elaborazione andrà concentrata per definire le linee della scuola che vogliamo.
Perché la scuola che abbiamo costruito nella grande stagione riformista che va dal 1970 (tempo-pieno) al 1990 (riforma degli Ordinamenti) non è più adeguata alla realtà attuale.

Dicendo “la scuola che vogliamo”, che noi lavoratori vogliamo, apro un capitolo non scontato sul ruolo del sindacato, che qualcuno limita ancora ad pura attività di “risposta”, rispetto a leggi o proposte di legge che riguardano i lavoratori della scuola.
In questi anni di lotta serrata contro le riforme del centro -destra, il sindacato si è guadagnato “sul campo” un diritto di elaborazione autonoma di proposte anche di ampio respiro sulla scuola.
Ma la lotta contro le riforme ha avuto anche un‘altra importante conseguenza.
Mai come in questa circostanza abbiamo potuto e dovuto fare una sistematica e accurata traduzione di norme legislative sul piano dell’impatto sui lavoratori – senza contaminazioni nell’analisi.
Contaminazioni causate nel passato prossimo dall’essere tali norme prodotte da governi di centro-sinistra con il conseguente bagaglio di attenzioni, mediazioni, comprensioni, sconti.
Bisognerà riuscire a mantenere l’assoluta oggettività conquistata, nell’analizzare quello che il nuovo governo di centro-sinistra proporrà al paese sulla scuola.
Ma a queste proposte sarà necessario arrivarci con la massima preparazione :

  • sul piano dell’analisi
  • sul piano dell’organizzazione.

Sul piano dell’analisi si tratterà di operare una rilettura critica di quella stagione riformista a cui accennavo e di alcune norme che si sono succedute e per le quali non sono estranei errori di valutazione o leggerezze anche da parte sindacale.
Credo vada ad esempio completamente rinegoziata la questione delle supplenze.
Si tratta di un problema che sta letteralmente devastando la scuola :

  • Azzera le compresenze, quella insostituibile risorsa che permette le attività di laboratorio e di recupero dello svantaggio
  • Vanifica l’attività didattica, con classi che a causa degli insegnanti assenti lievitano fino a 30 /35 alunni.

Qui la causa non è una riforma, ma una trappola nella quale è caduto il sindacato con l’intenzione di tutelare il precariato.
Si è voluto garantire totalmente la figura del supplente, senza preoccuparsi dell’impatto che questo garantismo avrebbe avuto sull’organizzazione scolastica.

  • possibilità di iscriversi nelle graduatorie di trenta scuole a livello nazionale
  • possibilità di non essere reperibile senza penalizzazione
  • possibilità di non accettare la supplenza offerta
  • possibilità, una volta accettata la supplenza, di non accettare l’eventuale proroga.

Tutto questo non tutela né il buon funzionamento della scuola, né i diritti degli altri lavoratori della scuola, nè il diritto allo studio degli alunni.
E in ultima analisi non tutela neppure i lavoratori precari.
Perché il problema non è fornire qualche assurdo privilegio ai supplenti, in cambio dell’accettazione della condizione di precariato.

Il problema è che il precariato, nella scuola, non deve esserci o deve essere ridotto ai minimi termini.
E’ significativo che l’ultimo editoriale del 2005 del nostro segretario nazionale su Valore scuola, sia interamente dedicato a riaffermare con forza questo impegno del sindacato.
Ci si incammina finalmente sulla strada della lotta contro il precariato avendone pienamente compreso il significato politico.
E non ci si illuda che questa finalità sia una prerogativa esclusiva del centrodestra.
Un ultimo accenno va fatto alla questione delle norme sulla dirigenza scolastica – varate ormai molti anni fa dal centrosinistra- che equiparano il dirigente ad un “datore di lavoro”, in coerenza con la concezione della scuola-azienda.
La mia presenza qui come delegato regionale testimonia che il sindacato non accetta questa impostazione.
Cosa ci farebbe un “datore di lavoro”, delegato ad un congresso della CGIL ?

Bisogna però passare dalla non-accettazione a forme di organizzazione del rifiuto.
Bisogna rimettere in discussione una normativa che impedisce il costruirsi di un rapporto organico fra capo di istituto e docenti (soprattutto).
Nella imminente fase di ricostruzione della scuola italiana è determinante che il sindacato arrivi con la consapevolezza che vanno indebolite le differenzegerarchiche all’interno della scuola.
Bisogna costruire un percorso – dentro la scuola - di potenziamento dei meccanismi della elaborazione delle decisioni, della partecipazione.
Immaginare nuove forme di aggregazione oltre gli organi collegiali.
Dare nuovi significati e potenzialità all’ Autonomia degli Istituti.
Ci sarà un grande lavoro da fare – dopo aprile – sul piano della critica, dell’autocritica e dell’elaborazione di soluzioni ai problemi.
Soprattutto sarà necessario dare vita ad un grande processo di coinvolgimento di tutte le componenti della scuola, perché non si tratterà solo di abrogare le riforme Moratti.
Si tratterà, per il sindacato, di riprendere il filo delle riforme interrotte degli ultimi due decenni : con determinazione, indipendenza dalla politica e quindi, soprattutto, con grande coraggio.