Valutazione Nazionale INVALSI Stampa
Giovedì 10 Novembre 2005

Come ci insegna la storiografia, un fatto non è mai in sé: oggettivo, definito, univoco.
In quanto prodotto di una volontà, chiede di essere interpretato.
Non vi è dubbio che questo progetto di valutazione nazionale INVALSI sia un grande fatto.
Coinvolge annualmente milioni di persone (studenti, genitori, insegnanti).
Dunque noi dobbiamo tentare di interpretarlo e contestualizzarlo, scavando al di là della serietà e dell’impegno indiscusso di chi lo sta gestendo sul piano organizzativo. Il prof. Marangon che gentilmente ha accettato di partecipare a questo dibattito, cercherà di convincerci che il Progetto è valido anche sul piano del merito.
E di elementi di convincimento abbiamo bisogno perché, se c’è stata una così forte opposizione al Progetto è perché in questa operazione vi sono alcune ombre che ne nascondono un preciso significato politico.
Parto da una considerazione, dal punto di vista della statistica che – in quanto branca della matematica – è una scienza, per proporre una prima osservazione critica di carattere generale.
Metto in discussione – sul piano dell’indagine statistica – la scelta assolutamente anomala di un’indagine che ha come soggetto l’intero universo statistico, anziché un campione rappresentativo.
E’ certamente anomala la messa in moto con scadenza annuale di una simile colossale e costosa macchina organizzativa.
Un’indagine “totale” di questa natura avviene col Censimento, che non per nulla è decennale.
Forse azzardo – e il prof. Marangon mi correggerà – ma non mi risulta che in altri paese una valutazione del sistema scolastico venga effettuata con un censimento dell’intero universo statistico.
Questo perché – nell’ambito della valutazione delle competenze degli alunni, sono infinitamente più attendibili le rilevazioni a campione rappresentativo, presentate da personale esterno e indipendente, l’unico in grado di garantire una corretta procedura, piuttosto che rilevazioni sull’intero universo statistico presentate dai docenti.
Docenti che hanno manifestato fin dall’inizio dubbi e sospetti sul senso dell’operazione, che non vorrebbero farla che, se sono costretti la subiscono e che per di più sono emotivamente coinvolti sul piano professionale.

Perché si può sostenere fin che si vuole che non si valuta l’alunno, né la classe né l’insegnante.
Ma gli alunni sono quelli con cui l’insegnante lavora, anche se non nella materia del test, o quelli dei colleghi.
E il test presenta quesiti su argomenti che l’insegnante, magari, non ha o non ha ancora trattato.
E il bambino che si trova davanti una domanda a cui non sa rispondere, perché a scuola non se n’è ancora parlato, che percezione può avere di sé e dell’insegnante che non ha svolto quell’argomento : se l’avesse svolto saprei rispondere !
E così accade che , nella maggior parte dei casi, quei docenti non si siano affatto attenuti alla procedura del manuale, ma abbiano interferito, falsando il risultato.
Un’ interferenza a volte radicale : ma questo può essere rilevato dalla lettura dei dati ( ad esempio il 100% di risposte esatte da parte di un’intera classe.
A volte parziale e questa non può essere rilevata dai risultati.
Ogni insegnante che si è ritenuto costretto a somministrare le prove le ha gestite a modo suo: chi spiegandole una ad una, chi facendole fare collettivamente alla lavagna, chi passando tra i banchi a correggerle, chi lasciando un tempo doppio per la compilazione ecc.
Ma non è l’attendibilità dei risultati che mi preoccupa, preoccupazione che dovrebbe interessare a chi questo progetto di valutazione ha ideato.
Mi preoccupa il fatto che questa obbligatorietà, vera o presunta che sia, ha ottenuto come risultato che queste prove sono state effettivamente somministrate nella maggior parte delle scuole, ma ha sospinto gli insegnanti, che non si sono rifiutati, sulla strada dell’ipocrisia e della finzione.
E’ lo stesso meccanismo che si è verificato nell’applicazione della Riforma Moratti.
Di fatto la Riforma non è stata applicata, ma il Ministro può dichiarare che invece lo è, applicata, perché nella maggior parte delle scuole, anziché una forma di opposizione aperta e leale si è scelta la finzione.
L’insegnante tutor? SI ( ma di fatto è un semplice coordinatore) Il Port-folio? SI ( ma di fatto è una semplice cartellina col nome del bambino e una manciata di prove e osservazioni)

L’insegnamento personalizzato ? SI ( ma le lezioni sono frontali e i compiti uguali per tutti)
L’organizzazione scolastica unica di 25 ore ? SI ( ma poi le tre ore a scelta dei genitori vengono decise dai docenti e le 10 ore aggiuntive per il tempo pieno continuano a riservarne 3 per attività curricolari)
Di fronte ad un potere che decide contro il comune sentire della scuola e le esigenze della formazione e dell’educazione dei bambini, la risposta è quella dell’eterna arte di arrangiarsi del suddito.
Ma questa è ancora una democrazia : non ci sono sudditi ma cittadini e lavoratori consapevoli.