"Il mondo della scuola e il tempo pieno" Stampa
Martedì 21 Aprile 2009

Nel momento in cui gran parte del mondo della scuola è mobilitato per la difesa e l’estensione del tempo pieno nella scuola primaria, sento il dovere di offrire un contributo di chiarezza rispetto ad una battaglia di cui mi sfugge il significato.
E lo faccio con grande amarezza, essendo stato uno dei quattro insegnanti che quasi quaranta anni fa hanno dato vita alla prima scuola a tempo-pieno in provincia di Venezia a Torre di Fine.
Il tempo-pieno ha rappresentato per tutti gli anni Settanta la sperimentazione di un rivoluzionario e grandioso progetto educativo di trasformazione della vecchia scuola elementare, progetto che ha poi coinvolto l’intera scuola italiana con una serie di leggi.

Le classi aperte, i laboratori e l’attività di ricerca al posto della lezione frontale; il superamento dei Programmi didattici del 1955, quelli del “leggere scrivere e far di conto”, attraverso una straordinaria ricchezza di materie, argomenti, contenuti, metodologie innovative; la biblioteca di classe al posto del libro di testo; la valutazione argomentata al posto di quella numerica; il team di docenti al posto del maestro unico; le attività ludiche nella scuola; l’apertura alle offerte culturali del territorio; l’integrazione deli alunni disabili nelle classi; gli interventi individualizzati per i bambini svantaggiati; la partecipazione dei genitori alla vita della scuola e altro ancora.

 

Il tempo scuola esteso a 40 ore (al posto delle 24 della scuola normale) era la condizione imprescindibile alla realizzazione di quel progetto.
Ma qual è il senso della battaglia sul tempo pieno che si sta facendo in questi giorni?
Bisogna avere il coraggio di dirlo: solo quello di garantire alle famiglie che ne hanno bisogno la permanenza a scuola dei loro figli per otto ore al giorno.

Perché di quel progetto - già duramente colpito negli ultimi dieci anni dalle politiche restrittive dei vari governi - il prossimo anno non rimarrà più nulla.
L’ulteriore diminuzione delle risorse finanziarie alle scuole; il ritorno all’insegnante unico o in coppia ma senza mai un periodo di compresenza; una classe di 28 alunni; il personale ausiliario ridotto al minimo; nuovi programmi didattici “essenzializzati” ed il resto (dai voti numerici al grembiule); tutto ciò configura una scuola primaria del tutto ‘coerente’ con il vecchio orario di 24 ore settimanali di lezione.

Le altre 16 ore non potranno che essere “parcheggio” con mensa, ricreazione, doposcuola. È questa la tragedia, precipitata sulla scuola pubblica, che non si è stati capaci di impedire e che si ha perfino difficoltà a riconoscere.
Ha prevalso in Italia un progetto politico che - dietro la maschera dei tagli - nascondeva il ritorno ad una scuola pubblica ristretta e funzionale alla costruzione del consenso, da affiancare alle reti televisive e alla stampa amica. Il primo passo è stato fatto: sono state create le condizioni materiali.
Nel giro di un paio d’anni finirà di uscire dalla scuola l’intera generazione di docenti protagonisti della grande stagione di riforme degli anni Settanta e Ottanta e allora, di quel grandioso progetto di costruzione di una scuola di base moderna e di qualità, non resterà nemmeno il ricordo.
Se dunque ci sono ancora o ci saranno in futuro spazi di azione, non sarà sul numero di ore di frequenza scolastica che si misurerà la capacità di opposizione del mondo della scuola e del paese.